Roberto Pamio, fin dagli anni ’50, in cui frequenta l’Istituto d’ Arte a Venezia, esprime la propria indole di artista con le prime prove ad olio in soggetti legati al paesaggio lagunare, praticato nella quotidianità, da cui emergono già il segno immediato e sicuro, la sensibilità nitida nell’uso del colore. L’ambiente veneziano e la sua eccezionale precocità lo avvicinano a maestri come Bruno Saetti ed Emilio Vedova che ne colgono il talento.
Non solo paesaggi ma anche un’umanità incontrata e accolta con quello sguardo di attenzione al dettaglio, nei volti delle figure umane, nell’andatura, nel gesto, che ne rivela l’intima ricerca. Figure di umili, anziani, un “ciclo dei vinti” da cui emerge la transizione sofferta da un luogo dell’anima, riconoscibile nella memoria, ad un luogo della necessità industriale che negli anni ’60-’70 si impone. Cambia il paesaggio, fatto di urbanizzazione forzata, di industrie, di macchine, nella ricerca di una nuova e difficile identità, ma non lo sguardo, attento ad una essenzialità ispiratrice che privilegia, in continuità con le opere degli esordi, la peculiarità del segno, la parcellizzazione del soggetto per definirne le linee e le loro direttrici all’interno di una rete di geometrie che sono sintesi garanti di ordine e chiarezza del pensiero progettuale. Progettualità chiara maturata negli anni dello IUAV e nell’esperienza di designer in Zanussi.
Testo di Paola Bellin